Sergio Emery (Chiasso, 1928 – Gentilino, 2003) è stato tra i maggiori protagonisti dell’arte in Ticino nella seconda metà dello scorso secolo. Il suo percorso è singolare, non lineare come nel caso della maggior parte degli artisti della sua generazione. Dopo un esordio sulla scia del ‘900 (Carrà, Sironi, Morandi), si orienta verso il neopicassismo che ha modo di saggiare a Parigi nel’49 da Edouard Pignon. Questa prima stagione si conclude con il brusco abbandono della pittura e l’inizio di un periodo di 10 anni nel design moderno. Il suo percorso riprende verso la metà degli anni ’60 prima in direzione informale, poi in un’arte più concettuale e d’impronta ambientalista.
Ma la grande svolta pittorica avviene nei primi anni ’80 con il ciclo delle bambole. È da qui che parte la retrospettiva di Mendrisio, sviluppandosi sull’arco di un ventennio. La stagione finale si snoda in una concatenazione di temi, tutti incentrati sulla natura, che vista a posteriori dà l’idea di un lavoro in progress di grande compattezza. Dominanti di una pittura tra gestuale e parvenze di figurativo: il segno, il ritmo, l’invenzione compositiva, l’inserto di materiali di scarto. Capitolo a sé, ultimo straordinario ciclo, Nel settembre del ’43, nel quale Emery recupera grazie a un sogno, dando briglia sciolta alla fantasia, un fatto accadutogli negli anni della guerra.